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Sentenze Corte Costituzionale: giudizio di legittimità inesistente.

Estratto dell’intervista di Maddalena Loy al Presidente di U&R, avv. Olga Milanese, su La Verità del 13 marzo 2023.

Eppure, l’articolo 32 della Costituzione oltre a parlare di diritto dell’individuo evoca anche l’interesse della collettività.

La Corte ha stravolto il pur chiaro contenuto letterale dell’articolo 32: la nostra Repubblica deve, appunto, tutelare il “diritto” dell’individuo alla salute e l’“interesse” della collettività, non viceversa! Un “interesse”, pubblico o privato che sia, non può mai acquisire una rilevanza tale da sovrastare un contrapposto diritto, come invece è successo. “Diritto” e “interesse” non sono equiparabili, il primo dovrebbe sempre prevalere, così come il rispetto della persona, come spiegarono opportunamente i Padri Costituenti. C’è una gerarchia tra i due riferimenti, come è ben spiegato nella chiosa finale dell’articolo 32, in cui si specifica che “in nessun caso l’obbligo sanitario può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Quindi la collettività viene dopo l’individuo?

E’ inciso con lettere di fuoco nei verbali dell’Assemblea Costituente: lo scopo primario della Costituzione consiste nel mettere al centro dell’ordinamento l’essere umano in quanto tale e garantire che i diritti e le libertà fondamentali dell’uomo non siano mai violati dallo Stato. Lo Stato li “riconosce e garantisce” nell’articolo 2 della Costituzione.

La vulgata post-pandemica sostiene invece che l’”egoismo” del singolo non possa condizionare l’interesse della collettività.

Guardi, bisogna che i cittadini (e non solo loro, ahinoi) conoscano e rispettino la loro Costituzione. Nell’articolo 2 si chiarisce che i diritti definiti come inviolabili appartengono all’uomo per nascita e non perché concessi (o negati) da una norma. Tant’è che la Costituzione non si limita a riconoscerli, ma li “garantisce”: se venissero soltanto “riconosciuti”, non sarebbero che un riflesso dei poteri dello Stato.

I sostenitori dell’obbligo ritengono ci sia stato un consenso informato

La sentenza n.14 vorrebbe tristemente insegnarci che la parola “consenso” non significa più “conformità di voleri” di due soggetti: consenso sarebbe l’accettazione di un’obbligazione, imposta dallo Stato con il ricatto della condanna alla fame in caso di inottemperanza. Non conta che tale accettazione non sia libera, stando alla nuova definizione coniata dalla Corte.

Quindi non c’è stato consenso?

Le sembra legittimo obbligare a rilasciare il consenso su un obbligo?

Le persone però erano informate. O no?

La cosiddetta “informazione” è stata latitante incallita non solo negli hub vaccinali, ma anche, a quanto pare, nella valutazione dei giudici.

Lo sdegno dei giuristi a questo punto dovrebbe essere unanime…

Ci chiediamo per quale motivo i colleghi avvocati, magistrati e i cultori della “scienze giuridiche” non abbiano il coraggio di levare la propria voce dinanzi allo scandalo di asserzioni che stravolgono la nostra cultura giuridica e mortificano la ragione. L’iter argomentativo della Consulta e le fonti citate sono, di fatto, motivazioni meramente apparenti e, pertanto, nulle.

L’art. 111 della Costituzione recita che “tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”.

Appunto: secondo la Corte di Cassazione (sentenza n. 37662, del 1dicembre 2021), l’art. 111 esprime un preciso imperativo di esplicitare le ragioni alla base delle pronunce. Una sentenza non può mai risolversi in apodittiche affermazioni di principio, avulse dalle evidenze probatorie. Ed è questo, invece, che è avvenuto. Sono, quindi, diversi e particolarmente gravi i motivi per i quali le sentenze n.14 e n.15 della Corte Costituzionale sull’obbligo di vaccinazione dei sanitari dovrebbero considerarsi nulle se non addirittura inesistenti.

Cosa manca nelle sentenze?

Manca proprio ciò che avrebbe dovuto valutare la Corte, ossia la conformità alla Costituzione delle norme che hanno stabilito l’obbligo vaccinale. La valutazione di diritto dell’asserita legittimità delle norme è stata proclamata unicamente sulla base di una non meglio precisata “evidenza scientifica” assurta a verità assoluta in quanto promanante dalle Istituzioni. Per di più mancano gli stessi “dati scientifici” invocati (impropriamente) dalla Corte a sostegno della giustezza delle decisioni del legislatore.

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